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http://www.heos.it/ n.7 del 22 Febbraio 2008 Chi lo vuole può chiedermelo.
ALICE.IT E' POCO AFFIDABILE...
PER SICUREZZA PREGO INVIARE EVENTUALI COMMENTI ANCHE A : zoli.marco@libero.it
Questo blog nasce con l'intento di dare un contributo alla diffusione di una cultura ambientalista sia teorico-scientifica che operativa. E libera da intrallazzi. Strada facendo qualche divagazione si fa necessaria. ******* Motivation which inspires this blog is helping to spread an environmental culture with both scientific and practical sound basis. Above all, a Frauds Free culture. Some contributions on other issues are published according to latest news and needs.
Monday, February 25, 2008
Friday, February 15, 2008
Il Protocollo di Kyoto e le Emissioni di Rumiz....
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Il 28 dicembre 2007, il quotidiano La Repubblica ha pubblicato un’inchiesta, a firma di Paolo Rumiz, “Vivere a Emissioni Zero”, che ha avuto un’eco notevole nel mondo dell’ambientalismo.
Per una settimana Rumiz ha deciso di vivere virtuosamente, facendo quantificare dagli esperti di una società di Legambiente il carico di emissioni di biossido di carbonio (CO2) associato ad ogni sua azione quotidiana. Solo che i calcoli fatti dalla società specializzata in “progetti che utilizzano fonti rinnovabili” erano sbagliati. Ecco che abbiamo rifatto i conteggi.
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In questi giorni, si celebra l’anniversario dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto ( il 16 febbraio 2005), e dunque il tema sollevato da Rumiz è di grande attualità. Non condivido del tutto il messaggio monacal-austero trasmesso dall’inchiesta: credo non possa essere vincente mentre so che si può vivere molto bene inquinando molto poco. A tal fine è necessario usare tecnologia e cervello. Comunque ho apprezzato lo spirito del suo lavoro focalizzato sul tema della responsabilità individuale e della consapevolezza ambientale. Purtroppo Rumiz si è fatto ingannare dal “nome trasparente”, AzzeroCO2, della società di Legambiente che gli ha sbagliato tutti i conti.
Per pura coincidenza ho avuto in mano quel giorno la copia cartacea del quotidiano: da essa, ancor più che dall’articolo elettronico, traspare il giusto desiderio di Rumiz di entrare nei dettagli e di misurare il CO2 effettivamente prodotto: le pagine centrali del quotidiano contenevano riquadri con numeri precisi relativi ai chili di CO2 giornalmente prodotti (non “consumati” come scritto erroneamente nei titoli del quotidiano).
Gli esperti, dopo aver frugato nella privacy di Rumiz, arrivano alla conclusione che il suo consumo energetico totale ammonta a 2427 KWh annui. Tale cifra indurrebbe una produzione di 4.32 Kg di CO2 al giorno, meno della metà della media europea che sarebbe di 9 Kg al giorno pro capite.
Questi sono i dati fondamentali su cui si regge l’intero ragionamento quantitativo di Rumiz. Egli aggiunge subito dopo che in quel computo del CO2 non è compreso il peso inquinante dovuto ai trasporti. La frase è mal scritta e comunque contraddice l’affermazione precedente. Ma soprassediamo: aggiungerò io, a quei 2427 KWh, il peso energetico dovuto ai trasporti che è in generale rilevante. In Italia si stima che il settore trasporti assorba oggi il 34% del consumo totale di energia primaria. Tale percentuale va dunque mantenuta nel calcolo dei consumi pro-capite. Per farla breve, secondo AzzeroCO2, Rumiz consumerebbe in totale 3677 KWh, tutto compreso.
Ora, secondo i dati dell’ Energy Information Administration (consistenti con quelli delle altre Agenzie) il consumo annuo pro capite italiano è di circa 41600 KWh. Dunque, stando ad AzzeroCO2, Rumiz consumerebbe meno di un undicesimo della media nazionale: cioè l’Italia potrebbe essere abitata da 700 milioni di persone che vivono come lui!
Il risultato è francamente assurdo anche in virtù della già oggi altissima densità di popolazione. Nonostante Rumiz non abbia l’auto e usi la bici, egli ha pur sempre una casa la cui costruzione ha implicato un consumo energetico e di territorio. Egli cammina e pedala su strade asfaltate la cui manutenzione comporta dei costi energetici da ripartire. Eppoi, prima di mettersi in cura per una settimana, usava la caldaia a gas, comprava l’acqua in bottiglia e le merci del supermercato. Va a comprare persino il pane. Insomma vive abbastanza nella norma. E’ dunque impossibile che il suo impatto totale sia di 3677 KWh. Ergo, AzzeroCO2 ha sbagliato clamorosamente il calcolo sottostimando i suoi consumi: 700 milioni di persone come Rumiz in Italia non ci entrano proprio.
Chissà dove hanno poi pescato il dato sui 9 Kg al giorno di CO2 pro capite. Chiunque conosca l’ABC delle questioni ambientali sa che la media europea di produzione di CO2 è di circa 10 tonnellate annue pro capite, cioè 27 Kg al giorno a persona: dunque la società di Legambiente fa un altro errore pacchiano e sottostima il dato di un fattore tre.
Ma procediamo. La precisione di due cifre decimali con cui si danno le varie quantità di CO2 prodotte è esagerata e metodologicamente scorretta a fronte delle grosse indeterminazioni sui parametri fondamentali necessari al calcolo.
Nella sera del 21 Dicembre Rumiz ha rinunciato a mangiare lo stufato, che pure gli faceva voglia, perché “cucinato col gas”. Quella fettina era la classica pagliuzza a fronte del trave, i 27 Kg di CO2 pro-capite del tutto dimenticati. Ma rimanendo sullo stufato, il “gas” è solo uno dei tasselli del mosaico inquinante. Mentre esso può essere sostituito da qualche pezzetto di legna dopo essersi dotati di una stufa efficiente, è invece l’allevamento stesso del bovino (Rumiz vi fa un veloce riferimento) ad avere un elevato costo energetico. Inoltre si ignorano le emissioni di metano (CH_4) prodotte dal bovino medesimo.
Eppure già nel Novembre 2006, un documentato studio della Food and Agricolture Organization stimava le flatulenze bovine come responsabili del 37% delle emissioni di metano (indotte da attività umane) su scala globale. Trovo così singolare che non esista una società AzzeroCH4 mentre esiste la società AzzeroCO2, per quanto altamente disinformata proprio nel settore che dovrebbe essere di sua competenza. Diciamo, a parziale attenuante, che gli italiani hanno grossi problemi nell’accedere all’informazione tecnico-scientifica internazionale.
Il metano è tutt’altro che “fonte di energia pulita”.
La combustione di CH_4 produce CO2 mentre le stesse attività di estrazione e trasporto del metano comportano emissioni, a volte disastrose, di CH_4 direttamente in atmosfera. Si consideri che una tonnellata di CH_4 ha in atmosfera un potere riscaldante equivalente a circa 24 tonnellate di CO2. Do per scontato che ogni degno ambientalista abbia già rinunciato al metano nei suoi usi domestici a mò di esempio virtuoso. Propongo che si verifichi se gli eco-dem, attualmente emarginati nel dibattito partitico pre-elettorale, siano a casa loro veramente ambientalisti.
Comunque il coraggioso Rumiz merita una simpatica tirata d’orecchi.
Se fosse andato a visitare il sito di AzzeroCO2 avrebbe potuto capire che era incappato in una società di marketing: cliccando su “cittadini” si viene invitati a “calcolare ed azzerare le proprie emissioni”. Si scelga ad esempio di neutralizzare un “viaggio in aereo” composto di “1 tratta” per un “totale di 800kms”. Vi viene imputato un carico di 144 Kg di CO2 e ciò a prescindere dal tipo di aeromobile, dal tipo di pista decollo/atterraggio e dal numero di passeggeri. Ancora una volta si tratta di un conto a spanne. Se però procedete vi verrà addebitato l’ importo relativo che è pari (dicono loro) a 5,04 €.
Tuttavia poiché l'unità minima di acquisto è di 1 credito di emissione, pari a 35 €, questa neutralizzazione avrà comunque il costo di 35 €. Che è (secondo loro) il costo di una tonnellata di CO2.
Potete così sostenere un progetto di “Teleriscaldamento a biomassa in Valtellina”! A questo punto solo un "fesso" inserisce i propri dati e paga. Con questo esempio concreto siamo entrati in pieno nello spirito del Protocollo di Kyoto (che ha by-prodotto anche AzzeroCO2) che avuto finora esiti abbastanza fallimentari.
L’idea di fondo del Protocollo era tanto buona quanto ambiziosa: indurre una consapevolezza internazionale sulla questione ambientale e far pagare di più agli Stati e alle imprese più inquinanti. In concreto però si sono introdotti i “meccanismi flessibili” con i quali i meno virtuosi possono neutralizzare le loro malefatte comprando crediti dai più virtuosi. O fare “progetti buoni” come, ad esempio, in Valtellina. In sostanza si tratta di scappatoie e, su scala internazionale, il meccanismo è di difficile gestione. Anche perché le verifiche della effettiva realizzazione dei progetti virtuosi sono molto spesso dubbie. Il 16 Febbraio ricorre il terzo compleanno dell’entrata in vigore del Protocollo ma sono in molti a pensare che si tratti di un funerale. Osservo che:
1) Il Protocollo, firmato nel 1997, è entrato in vigore grazie alla Russia la quale alla fine ha aderito perché vi ha visto una convenienza. Infatti la riduzione delle emissioni richiesta ai singoli stati viene misurata rispetto al 1990. In quell’anno esisteva ancora l’Unione Sovietica e le sue emissioni inquinanti erano imponenti, poi sono crollate con la destrutturazione del suo apparato industriale e, dal 1997, sono cresciute di nuovo. Dunque prendendo a riferimento il 1990, la Russia risulta oggi molto virtuosa sul piano delle emissioni. Insomma grazie a Kyoto può far qualche affare. Se il riferimento fosse stato il 1997, la Russia non avrebbe aderito. Discorso analogo vale per la Germania che è uno dei perni del Protocollo e che oggi può vantare un’ottima performance rispetto al 1990. Molto meno rispetto al 1997.
2) Sul mercato delle emissioni di CO2, una tonnellata viene quotata oggi 0.01 € mentre due anni fa valeva 27 €. Comunque non si sono mai visti i 35 € voluti da AzzeroCO2. Finchè si trattava di calcolare i consumi di Rumiz, la società di Legambiente tendeva a sottostimare, passando ai quattrini la società tende, con mossa felpata, a sovrastimare.
3) La Borsa è come al solito impietosa e i numeri contano più di tante chiacchiere. Se le quotazioni sono crollate è perché gli Stati Europei, dopo aver firmato il Protocollo, hanno concesso alle loro imprese generose quote di emissione di CO2 e l’intero meccanismo basato sul commercio delle emissioni inquinanti ha perso di credibilità.
4)Accordi internazionali di questa portata implicano migliaia di riunioni e conferenze tra politici e esperti. Tutto ciò avviene in stanze ben riscaldate e illuminate dove ci si reca grazie a molti viaggi e lunghi voli aerei. Si mangia anche molto. Tutto ciò richiede un ampio uso di combustibili fossili. E’ plausibile che il (sicuro) carico inquinante associato alla preparazione di un Protocollo sia paragonabile alla effettiva riduzione di emissioni inquinanti che, in conseguenza di tale Protocollo, si andrà poi (forse) ad ottenere. Al business ambientalista sono poi associate occasioni turistiche sotto forma di Conferenze, magari a Bali o nel Principato di Monaco.
Credo sarebbe bene ridurre la dimensione del caravanserraglio delle Conferenze ambientali. Penso che le informazioni concrete che gli esperti si sono scambiati a Bali avrebbero potuto essere comunicate anche per e-mail o video-conferenza. Stando a casa e rendendosi liberi dal metano a casa loro darebbero il buon esempio.
In conclusione, se uno Stato od una Regione vogliono ridurre il proprio peso inquinante lo possono fare dandosi standards, regolamenti precisi e politiche fiscali rigorose. Senza tanti “meccanismi flessibili”.
Il caso della California, che pure non ha firmato alcun Protocollo di Kyoto, può essere considerato un esempio significativo. Uno Stato decide però di avviarsi lungo una strada ambientalmente sostenibile se i suoi cittadini glielo chiedono: a tal fine è necessario che questi acquisiscano un certo livello di consapevolezza e di istruzione. Considerato il livello medio italiano è dunque auspicabile che Rumiz continui lungo la sua strada virtuosa e che pubblichi altre inchieste. Magari con numeri più corretti. E facendo attenzione a chi interpella.
http://www.heos.it/Attualita_08/0100027.htm
Il 28 dicembre 2007, il quotidiano La Repubblica ha pubblicato un’inchiesta, a firma di Paolo Rumiz, “Vivere a Emissioni Zero”, che ha avuto un’eco notevole nel mondo dell’ambientalismo.
Per una settimana Rumiz ha deciso di vivere virtuosamente, facendo quantificare dagli esperti di una società di Legambiente il carico di emissioni di biossido di carbonio (CO2) associato ad ogni sua azione quotidiana. Solo che i calcoli fatti dalla società specializzata in “progetti che utilizzano fonti rinnovabili” erano sbagliati. Ecco che abbiamo rifatto i conteggi.
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In questi giorni, si celebra l’anniversario dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto ( il 16 febbraio 2005), e dunque il tema sollevato da Rumiz è di grande attualità. Non condivido del tutto il messaggio monacal-austero trasmesso dall’inchiesta: credo non possa essere vincente mentre so che si può vivere molto bene inquinando molto poco. A tal fine è necessario usare tecnologia e cervello. Comunque ho apprezzato lo spirito del suo lavoro focalizzato sul tema della responsabilità individuale e della consapevolezza ambientale. Purtroppo Rumiz si è fatto ingannare dal “nome trasparente”, AzzeroCO2, della società di Legambiente che gli ha sbagliato tutti i conti.
Per pura coincidenza ho avuto in mano quel giorno la copia cartacea del quotidiano: da essa, ancor più che dall’articolo elettronico, traspare il giusto desiderio di Rumiz di entrare nei dettagli e di misurare il CO2 effettivamente prodotto: le pagine centrali del quotidiano contenevano riquadri con numeri precisi relativi ai chili di CO2 giornalmente prodotti (non “consumati” come scritto erroneamente nei titoli del quotidiano).
Gli esperti, dopo aver frugato nella privacy di Rumiz, arrivano alla conclusione che il suo consumo energetico totale ammonta a 2427 KWh annui. Tale cifra indurrebbe una produzione di 4.32 Kg di CO2 al giorno, meno della metà della media europea che sarebbe di 9 Kg al giorno pro capite.
Questi sono i dati fondamentali su cui si regge l’intero ragionamento quantitativo di Rumiz. Egli aggiunge subito dopo che in quel computo del CO2 non è compreso il peso inquinante dovuto ai trasporti. La frase è mal scritta e comunque contraddice l’affermazione precedente. Ma soprassediamo: aggiungerò io, a quei 2427 KWh, il peso energetico dovuto ai trasporti che è in generale rilevante. In Italia si stima che il settore trasporti assorba oggi il 34% del consumo totale di energia primaria. Tale percentuale va dunque mantenuta nel calcolo dei consumi pro-capite. Per farla breve, secondo AzzeroCO2, Rumiz consumerebbe in totale 3677 KWh, tutto compreso.
Ora, secondo i dati dell’ Energy Information Administration (consistenti con quelli delle altre Agenzie) il consumo annuo pro capite italiano è di circa 41600 KWh. Dunque, stando ad AzzeroCO2, Rumiz consumerebbe meno di un undicesimo della media nazionale: cioè l’Italia potrebbe essere abitata da 700 milioni di persone che vivono come lui!
Il risultato è francamente assurdo anche in virtù della già oggi altissima densità di popolazione. Nonostante Rumiz non abbia l’auto e usi la bici, egli ha pur sempre una casa la cui costruzione ha implicato un consumo energetico e di territorio. Egli cammina e pedala su strade asfaltate la cui manutenzione comporta dei costi energetici da ripartire. Eppoi, prima di mettersi in cura per una settimana, usava la caldaia a gas, comprava l’acqua in bottiglia e le merci del supermercato. Va a comprare persino il pane. Insomma vive abbastanza nella norma. E’ dunque impossibile che il suo impatto totale sia di 3677 KWh. Ergo, AzzeroCO2 ha sbagliato clamorosamente il calcolo sottostimando i suoi consumi: 700 milioni di persone come Rumiz in Italia non ci entrano proprio.
Chissà dove hanno poi pescato il dato sui 9 Kg al giorno di CO2 pro capite. Chiunque conosca l’ABC delle questioni ambientali sa che la media europea di produzione di CO2 è di circa 10 tonnellate annue pro capite, cioè 27 Kg al giorno a persona: dunque la società di Legambiente fa un altro errore pacchiano e sottostima il dato di un fattore tre.
Ma procediamo. La precisione di due cifre decimali con cui si danno le varie quantità di CO2 prodotte è esagerata e metodologicamente scorretta a fronte delle grosse indeterminazioni sui parametri fondamentali necessari al calcolo.
Nella sera del 21 Dicembre Rumiz ha rinunciato a mangiare lo stufato, che pure gli faceva voglia, perché “cucinato col gas”. Quella fettina era la classica pagliuzza a fronte del trave, i 27 Kg di CO2 pro-capite del tutto dimenticati. Ma rimanendo sullo stufato, il “gas” è solo uno dei tasselli del mosaico inquinante. Mentre esso può essere sostituito da qualche pezzetto di legna dopo essersi dotati di una stufa efficiente, è invece l’allevamento stesso del bovino (Rumiz vi fa un veloce riferimento) ad avere un elevato costo energetico. Inoltre si ignorano le emissioni di metano (CH_4) prodotte dal bovino medesimo.
Eppure già nel Novembre 2006, un documentato studio della Food and Agricolture Organization stimava le flatulenze bovine come responsabili del 37% delle emissioni di metano (indotte da attività umane) su scala globale. Trovo così singolare che non esista una società AzzeroCH4 mentre esiste la società AzzeroCO2, per quanto altamente disinformata proprio nel settore che dovrebbe essere di sua competenza. Diciamo, a parziale attenuante, che gli italiani hanno grossi problemi nell’accedere all’informazione tecnico-scientifica internazionale.
Il metano è tutt’altro che “fonte di energia pulita”.
La combustione di CH_4 produce CO2 mentre le stesse attività di estrazione e trasporto del metano comportano emissioni, a volte disastrose, di CH_4 direttamente in atmosfera. Si consideri che una tonnellata di CH_4 ha in atmosfera un potere riscaldante equivalente a circa 24 tonnellate di CO2. Do per scontato che ogni degno ambientalista abbia già rinunciato al metano nei suoi usi domestici a mò di esempio virtuoso. Propongo che si verifichi se gli eco-dem, attualmente emarginati nel dibattito partitico pre-elettorale, siano a casa loro veramente ambientalisti.
Comunque il coraggioso Rumiz merita una simpatica tirata d’orecchi.
Se fosse andato a visitare il sito di AzzeroCO2 avrebbe potuto capire che era incappato in una società di marketing: cliccando su “cittadini” si viene invitati a “calcolare ed azzerare le proprie emissioni”. Si scelga ad esempio di neutralizzare un “viaggio in aereo” composto di “1 tratta” per un “totale di 800kms”. Vi viene imputato un carico di 144 Kg di CO2 e ciò a prescindere dal tipo di aeromobile, dal tipo di pista decollo/atterraggio e dal numero di passeggeri. Ancora una volta si tratta di un conto a spanne. Se però procedete vi verrà addebitato l’ importo relativo che è pari (dicono loro) a 5,04 €.
Tuttavia poiché l'unità minima di acquisto è di 1 credito di emissione, pari a 35 €, questa neutralizzazione avrà comunque il costo di 35 €. Che è (secondo loro) il costo di una tonnellata di CO2.
Potete così sostenere un progetto di “Teleriscaldamento a biomassa in Valtellina”! A questo punto solo un "fesso" inserisce i propri dati e paga. Con questo esempio concreto siamo entrati in pieno nello spirito del Protocollo di Kyoto (che ha by-prodotto anche AzzeroCO2) che avuto finora esiti abbastanza fallimentari.
L’idea di fondo del Protocollo era tanto buona quanto ambiziosa: indurre una consapevolezza internazionale sulla questione ambientale e far pagare di più agli Stati e alle imprese più inquinanti. In concreto però si sono introdotti i “meccanismi flessibili” con i quali i meno virtuosi possono neutralizzare le loro malefatte comprando crediti dai più virtuosi. O fare “progetti buoni” come, ad esempio, in Valtellina. In sostanza si tratta di scappatoie e, su scala internazionale, il meccanismo è di difficile gestione. Anche perché le verifiche della effettiva realizzazione dei progetti virtuosi sono molto spesso dubbie. Il 16 Febbraio ricorre il terzo compleanno dell’entrata in vigore del Protocollo ma sono in molti a pensare che si tratti di un funerale. Osservo che:
1) Il Protocollo, firmato nel 1997, è entrato in vigore grazie alla Russia la quale alla fine ha aderito perché vi ha visto una convenienza. Infatti la riduzione delle emissioni richiesta ai singoli stati viene misurata rispetto al 1990. In quell’anno esisteva ancora l’Unione Sovietica e le sue emissioni inquinanti erano imponenti, poi sono crollate con la destrutturazione del suo apparato industriale e, dal 1997, sono cresciute di nuovo. Dunque prendendo a riferimento il 1990, la Russia risulta oggi molto virtuosa sul piano delle emissioni. Insomma grazie a Kyoto può far qualche affare. Se il riferimento fosse stato il 1997, la Russia non avrebbe aderito. Discorso analogo vale per la Germania che è uno dei perni del Protocollo e che oggi può vantare un’ottima performance rispetto al 1990. Molto meno rispetto al 1997.
2) Sul mercato delle emissioni di CO2, una tonnellata viene quotata oggi 0.01 € mentre due anni fa valeva 27 €. Comunque non si sono mai visti i 35 € voluti da AzzeroCO2. Finchè si trattava di calcolare i consumi di Rumiz, la società di Legambiente tendeva a sottostimare, passando ai quattrini la società tende, con mossa felpata, a sovrastimare.
3) La Borsa è come al solito impietosa e i numeri contano più di tante chiacchiere. Se le quotazioni sono crollate è perché gli Stati Europei, dopo aver firmato il Protocollo, hanno concesso alle loro imprese generose quote di emissione di CO2 e l’intero meccanismo basato sul commercio delle emissioni inquinanti ha perso di credibilità.
4)Accordi internazionali di questa portata implicano migliaia di riunioni e conferenze tra politici e esperti. Tutto ciò avviene in stanze ben riscaldate e illuminate dove ci si reca grazie a molti viaggi e lunghi voli aerei. Si mangia anche molto. Tutto ciò richiede un ampio uso di combustibili fossili. E’ plausibile che il (sicuro) carico inquinante associato alla preparazione di un Protocollo sia paragonabile alla effettiva riduzione di emissioni inquinanti che, in conseguenza di tale Protocollo, si andrà poi (forse) ad ottenere. Al business ambientalista sono poi associate occasioni turistiche sotto forma di Conferenze, magari a Bali o nel Principato di Monaco.
Credo sarebbe bene ridurre la dimensione del caravanserraglio delle Conferenze ambientali. Penso che le informazioni concrete che gli esperti si sono scambiati a Bali avrebbero potuto essere comunicate anche per e-mail o video-conferenza. Stando a casa e rendendosi liberi dal metano a casa loro darebbero il buon esempio.
In conclusione, se uno Stato od una Regione vogliono ridurre il proprio peso inquinante lo possono fare dandosi standards, regolamenti precisi e politiche fiscali rigorose. Senza tanti “meccanismi flessibili”.
Il caso della California, che pure non ha firmato alcun Protocollo di Kyoto, può essere considerato un esempio significativo. Uno Stato decide però di avviarsi lungo una strada ambientalmente sostenibile se i suoi cittadini glielo chiedono: a tal fine è necessario che questi acquisiscano un certo livello di consapevolezza e di istruzione. Considerato il livello medio italiano è dunque auspicabile che Rumiz continui lungo la sua strada virtuosa e che pubblichi altre inchieste. Magari con numeri più corretti. E facendo attenzione a chi interpella.
http://www.heos.it/Attualita_08/0100027.htm
...Le balle di Legambiente e la colf di Veltroni
So che nei circoli di Legambiente sparsi per l'Italia ci sono brave persone impegnate a difendere con passione il loro territorio. Per tante ragazze e ragazzi, ritrovarsi alla domenica per ripulire una spiaggia o una strada, od anche soltanto per fare una escursione, è un motivo gratificante ed aggregante. Riunirsi sotto le bandiere del Cigno, sentirsi parte di una organizzazione, rafforza un senso di identità e di appartenenza....sono in tanti ad aver bisogno della dimensione gruppale. Purtroppo però molte e molti di loro (che formano la base) non si rendono immediatamente conto che tutto quell' entusiasmo serve ai vertici dell'organizzazione per poter "pesare politicamente" o meglio, per fare una bella carriera partitica personale. Naturalmente ogni iscritta/o, una volta capita l'antifona, ha il diritto di non farsi più usare da personaggi perlomeno ambigui...Legambiente era nata oltre vent'anni fa sulla base dei valori dell'ambientalismo scientifico...ora a me sembra che abbiano finito col prevalere i valori del quattrino...di certo, di scientifico, è rimasto ben poco. Come ho dimostrato più volte! Per poter poi sperare di azzerare domani la CO2 bisogna innanzitutto ridurre oggi l'analfabetismo...e strigliare i politicanti.
Intanto sono partiti i pullman di Veltroni. Il mini-furbacchione Realacci gliene ha dipinto uno di verde ed annuncia, in stile Kyoto, che «le emissioni prodotte (dai pullman) saranno azzerate dalla riforestazione di alcune zone della penisola».
Naturalmente a queste promesse e all'efficacia dell'azione ci crede solo un cretino...fatto sta che il gran-furbacchione Veltroni si è accordato con DiPietro, il quale non mi sembra molto ambientalista ma che porta più voti di Realacci...questi deve dunque dimostrare in tutti modi al capo di essere una brava colf: il pullman sarà senz'altro pulito e confortevole!
Ma non si accorgono di quanto sono ridicoli? La loro fortuna è senz'altro legata all'alto tasso di analfabetismo di massa....chi non capisce niente può ancora credere a quello che dicono.
Intanto sono partiti i pullman di Veltroni. Il mini-furbacchione Realacci gliene ha dipinto uno di verde ed annuncia, in stile Kyoto, che «le emissioni prodotte (dai pullman) saranno azzerate dalla riforestazione di alcune zone della penisola».
Naturalmente a queste promesse e all'efficacia dell'azione ci crede solo un cretino...fatto sta che il gran-furbacchione Veltroni si è accordato con DiPietro, il quale non mi sembra molto ambientalista ma che porta più voti di Realacci...questi deve dunque dimostrare in tutti modi al capo di essere una brava colf: il pullman sarà senz'altro pulito e confortevole!
Ma non si accorgono di quanto sono ridicoli? La loro fortuna è senz'altro legata all'alto tasso di analfabetismo di massa....chi non capisce niente può ancora credere a quello che dicono.
Monday, February 11, 2008
Sezione Economia in Ecostiera.it
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http://www.ecostiera.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1468&Itemid=52§ionid=33&idvis=1
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Qualche settimana fa il petrolio ha raggiunto la soglia dei “100 dollari al barile” e la notizia ha suscitato una valanga di preoccupate reazioni in Italia e nel mondo. Una gran massa di politici e commentatori per lo più disinformati ha voluto dire la sua.
Negli ultimi anni ho verificato più volte nel corso di vari incontri che la stragrande maggioranza degli italiani (e limitiamoci a questi) non sa cosa sia un “barile”. In tali condizioni è difficile stabilire se il prezzo del petrolio è alto o basso. Stabilito che “1 barile =159 litri” , ne deduciamo che un litro di petrolio costa oggi circa 0.44 Euro: nessuna bibita gassata credo sia tanto economica.
Quand’anche il petrolio dovesse raggiungere i “200 dollari al barile”, il suo costo per litro rimarrebbe comunque inferiore a quello del succo di frutta, della birra o del Tavernello. Ma il valore reale di questo straordinario liquido (formatosi 150 milioni di anni fa e disponibile solo in alcune zone della Terra ad una profondità che oscilla dai due ai cinque kms circa) può essere stimato oggettivamente solo sulla base della quantità di energia in esso contenuta.
Va detto allora che un litro di petrolio contiene circa 11KWh di energia e ciò corrisponde grosso modo a “diecimila chilo calorie”. E' l’energia sufficiente ad alimentare un robusto essere umano per oltre tre giorni! Dunque, se il petrolio fosse commestibile, con 44 centesimi di euro ognuno di noi potrebbe vivere più di tre giorni. Il paradosso prova in modo inconfutabile che il petrolio è ancora terribilmente economico con buona pace della massa di agitati strilloni.
E’ evidente che il vero problema non sta nel “petrolio in sé” bensì nell’incapacità delle società umane di gestire con parsimonia il loro rapporto con questo (ed anche con gli altri) combustibile di origine fossile, rapporto iniziato nel 1859 con la trivellazione in Pennsylvania del primo pozzo.
Da allora vari e complessi fattori hanno concorso a determinare il prezzo del duttile liquido diventato sempre più indispensabile alle economie mondiali nel corso del ‘900 anche in virtù dello sviluppo dell’industria automobilistica. Ed infatti la storia di quest’ultima si intrecciò ben presto con quella delle compagnie petrolifere: già negli anni ’20, General Motors cominciò a minare il sistema di trasporto pubblico elettrico a New York. La medesima politica di distruzione proseguì poi nei due decenni successivi in tutte le più grandi città degli USA in collaborazione con Standard Oil, la madre (o nonna) di Exxon, Amoco e Chevron-Texaco. Si doveva passare all’automobile alimentata da petrolio!
Oggi il mondo brucia circa 85 milioni di barili di petrolio al giorno (mbpg) e la tendenza è al rialzo, almeno fin quando ci sarà oro nero da estrarre e bruciare. Il geologo Marion King Hubbert aveva previsto già nel 1956 che gli USA avrebbero raggiunto il loro picco di produzione di petrolio nel 1971. Non fu ascoltato, anzi fu osteggiato in vari modi. Tale picco, arrivato poi puntualmente, ha influenzato la storia politica e militare mondiale di questi ultimi 35 anni. Oggi gli USA producono 8.3 mbpg ma ne consumano 20.6. Per fortuna ci sono ancora l’Arabia Saudita e la Russia che producono rispettivamente 10.7 e 9.7 mbpg mentre il Canada è in ascesa, per quanto i costi di estrazione del suo petrolio non convenzionale saranno via via più elevati.
Gli sceicchi d’Arabia hanno avuto storicamente un ruolo calmieratrice sul prezzo del petrolio ma la loro funzione dovrà prima o poi esaurirsi con il raggiungimento del picco di Hubbert in Arabia. Si consideri che metà del petrolio saudita proviene da un unico mega-giacimento, quello di Ghawar scoperto nel lontano 1948. Nulla dura in eterno, tanto meno il petrolio, dunque aspettiamoci ben altri rincari rispetto a quelli che vediamo in queste settimane. Non mi sembra però che siano in molti oggi a prendere il toro per le corna e a scegliere l’unica via possibile: quella della modificazione/riduzione drastica dei consumi individuali accompagnata da misure di efficienza energetica. Al contrario, aumenta il numero di auto di grossa cilindrata in circolazione e c’è ancora chi pensa che lo sviluppo di un Paese sia quantificabile attraverso l’indice del PIL al quale, anche in Italia, contribuisce in modo chiave l’industria dell’auto. E’ chiaro che siamo in un circolo vizioso. Non se ne esce se non puntando su produzioni industriali a basso consumo energetico e ad alta tecnologia. Oltre che sulla bicicletta la quale deve diventare il perno del trasporto urbano: ma so che si tratta ancora di un sogno. Peccato perché, tra l’altro, pedalando ci si mantiene in gran forma.
Di petrolio sono intrise le merci che arrivano nei supermercati del mondo, che entrano nelle case della gente e che da queste escono nella forma di rifiuti. Per diversi giorni, i titoli di testa della BBC sono stati occupati dalle strade di Napoli strapiene di montagne di spazzatura, spesso fumante. Pezzi di bel giornalismo accostavano quelle immagini al ritorno in ufficio del sorridente Presidente Prodi dopo le vacanze.
Eppure il caso di Napoli e del suo hinterland è forse solo la punta di un iceberg, rappresenta una situazione estrema, resa insopportabile dalla presenza di interessi criminali e dalla correlata incapacità dei politici di trovare soluzioni decenti, oltre che dalla troppo alta densità di popolazione. Ma quel dramma, palese a Napoli, è latente altrove. Andrebbe però detto, per stroncare le tante e solite esternazioni razziste di questi giorni, che a Salerno la gestione amministrativa è ben diversa. Ed anche Salerno è in Campania. Ad essere precisi, la produzione di rifiuti pro-capite sembra essere in Campania addirittura inferiore sia alla media nazionale che a quella delle regioni meridionali sempre che tutto venga conteggiato esattamente. Ma questi son “dettagli”. Il problema è che si tratta in generale di valori medi comunque troppo alti, oscillanti da 1.3 a quasi 2 kg al giorno per abitante.
E’ evidente allora che la vera, radicale soluzione del problema, a Napoli o altrove, non può essere quella della “raccolta differenziata” in sé, né tantomeno quella dell’ “incenerimento”.
La prima è senz’altro una cosina che va fatta ed appartiene alla sfera della buona educazione ma non la enfatizzerei troppo perché poi comunque si rimane con materiali sì differenziati ma spesso difficili da gestire; inoltre può fornire un alibi al cittadino il quale, differenziando, crede di aver risolto il problema e si mette la coscienza a posto. La seconda soluzione, gentilmente detta “termovalorizzazione” (anche solo della parte non riciclabile) induce una strabiliante produzione di gas ad effetto serra. Peraltro l’Italia, dopo aver firmato il protocollo di Kyoto, non lo rispetta: mi sembra difficile che gli inceneritori possano aiutare a far quadrare i conti. E’ vero che bruciare i rifiuti in strada produce ancor più diossine degli inceneritori ma è anche vero che la gente di qualità tende “al meglio” e non “al meno peggio”, che poi diventa sempre peggiore. Semmai si ricorre ad alcuni inceneritori come “scelta residuale”, dopo aver fatto tutto il resto. Ma non sono essi l’ancora di salvezza come taluni, forse non privi di interessi, sostengono in questi giorni.
Dunque, la vera soluzione è il classico uovo di colombo: “la non produzione di rifiuti o perlomeno la loro drastica riduzione”. Raggiunto questo standard il problema rifiuti sarebbe praticamente inesistente ed un inceneritore per tutta la Penisola sarebbe più che sufficiente. Come ho detto in altre occasioni, c’è solo una strada per giungere a questo fine: far pagare salatamente i rifiuti per quantità e qualità al cittadino non dotato di senso della responsabilità individuale e dunque iper-produttore di rifiuti. Va quindi abbandonata la consuetudo imbecille della tassa basata sulla superficie dell’abitazione, incredibilmente ancora in voga in quasi tutta Italia. Anziché colpire il rifiuto colpisce la casa. Immagino che possa essere utile ai Comuni pigri continuare con questo andazzo (ed avere una voce d’entrata prontamente variabile a seconda dei bisogni finanziari) ma così si va di male in peggio sul fronte dei rifiuti. Soltanto imponendo la strada indicata, anche al prezzo della iniziale impopolarità, gli amministratori potranno innescare un meccanismo virtuoso ed etico. Chi non produce rifiuti non paga: è perfino un fatto di giustizia sociale.
Gli stessi cittadini impareranno a fare la spesa, miglioreranno la qualità della loro alimentazione e, non sprecando, aumenteranno anche la propria ricchezza individuale. A parità di stipendio, chi ha più cultura, riesce sempre ad avere un potere d’acquisto più elevato. Ed anche la dipendenza dal petrolio delle società umane verrebbe drasticamente ridotta. Lasciando disoccupati molti strilloni.
http://www.ecostiera.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1468&Itemid=52§ionid=33&idvis=1
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Qualche settimana fa il petrolio ha raggiunto la soglia dei “100 dollari al barile” e la notizia ha suscitato una valanga di preoccupate reazioni in Italia e nel mondo. Una gran massa di politici e commentatori per lo più disinformati ha voluto dire la sua.
Negli ultimi anni ho verificato più volte nel corso di vari incontri che la stragrande maggioranza degli italiani (e limitiamoci a questi) non sa cosa sia un “barile”. In tali condizioni è difficile stabilire se il prezzo del petrolio è alto o basso. Stabilito che “1 barile =159 litri” , ne deduciamo che un litro di petrolio costa oggi circa 0.44 Euro: nessuna bibita gassata credo sia tanto economica.
Quand’anche il petrolio dovesse raggiungere i “200 dollari al barile”, il suo costo per litro rimarrebbe comunque inferiore a quello del succo di frutta, della birra o del Tavernello. Ma il valore reale di questo straordinario liquido (formatosi 150 milioni di anni fa e disponibile solo in alcune zone della Terra ad una profondità che oscilla dai due ai cinque kms circa) può essere stimato oggettivamente solo sulla base della quantità di energia in esso contenuta.
Va detto allora che un litro di petrolio contiene circa 11KWh di energia e ciò corrisponde grosso modo a “diecimila chilo calorie”. E' l’energia sufficiente ad alimentare un robusto essere umano per oltre tre giorni! Dunque, se il petrolio fosse commestibile, con 44 centesimi di euro ognuno di noi potrebbe vivere più di tre giorni. Il paradosso prova in modo inconfutabile che il petrolio è ancora terribilmente economico con buona pace della massa di agitati strilloni.
E’ evidente che il vero problema non sta nel “petrolio in sé” bensì nell’incapacità delle società umane di gestire con parsimonia il loro rapporto con questo (ed anche con gli altri) combustibile di origine fossile, rapporto iniziato nel 1859 con la trivellazione in Pennsylvania del primo pozzo.
Da allora vari e complessi fattori hanno concorso a determinare il prezzo del duttile liquido diventato sempre più indispensabile alle economie mondiali nel corso del ‘900 anche in virtù dello sviluppo dell’industria automobilistica. Ed infatti la storia di quest’ultima si intrecciò ben presto con quella delle compagnie petrolifere: già negli anni ’20, General Motors cominciò a minare il sistema di trasporto pubblico elettrico a New York. La medesima politica di distruzione proseguì poi nei due decenni successivi in tutte le più grandi città degli USA in collaborazione con Standard Oil, la madre (o nonna) di Exxon, Amoco e Chevron-Texaco. Si doveva passare all’automobile alimentata da petrolio!
Oggi il mondo brucia circa 85 milioni di barili di petrolio al giorno (mbpg) e la tendenza è al rialzo, almeno fin quando ci sarà oro nero da estrarre e bruciare. Il geologo Marion King Hubbert aveva previsto già nel 1956 che gli USA avrebbero raggiunto il loro picco di produzione di petrolio nel 1971. Non fu ascoltato, anzi fu osteggiato in vari modi. Tale picco, arrivato poi puntualmente, ha influenzato la storia politica e militare mondiale di questi ultimi 35 anni. Oggi gli USA producono 8.3 mbpg ma ne consumano 20.6. Per fortuna ci sono ancora l’Arabia Saudita e la Russia che producono rispettivamente 10.7 e 9.7 mbpg mentre il Canada è in ascesa, per quanto i costi di estrazione del suo petrolio non convenzionale saranno via via più elevati.
Gli sceicchi d’Arabia hanno avuto storicamente un ruolo calmieratrice sul prezzo del petrolio ma la loro funzione dovrà prima o poi esaurirsi con il raggiungimento del picco di Hubbert in Arabia. Si consideri che metà del petrolio saudita proviene da un unico mega-giacimento, quello di Ghawar scoperto nel lontano 1948. Nulla dura in eterno, tanto meno il petrolio, dunque aspettiamoci ben altri rincari rispetto a quelli che vediamo in queste settimane. Non mi sembra però che siano in molti oggi a prendere il toro per le corna e a scegliere l’unica via possibile: quella della modificazione/riduzione drastica dei consumi individuali accompagnata da misure di efficienza energetica. Al contrario, aumenta il numero di auto di grossa cilindrata in circolazione e c’è ancora chi pensa che lo sviluppo di un Paese sia quantificabile attraverso l’indice del PIL al quale, anche in Italia, contribuisce in modo chiave l’industria dell’auto. E’ chiaro che siamo in un circolo vizioso. Non se ne esce se non puntando su produzioni industriali a basso consumo energetico e ad alta tecnologia. Oltre che sulla bicicletta la quale deve diventare il perno del trasporto urbano: ma so che si tratta ancora di un sogno. Peccato perché, tra l’altro, pedalando ci si mantiene in gran forma.
Di petrolio sono intrise le merci che arrivano nei supermercati del mondo, che entrano nelle case della gente e che da queste escono nella forma di rifiuti. Per diversi giorni, i titoli di testa della BBC sono stati occupati dalle strade di Napoli strapiene di montagne di spazzatura, spesso fumante. Pezzi di bel giornalismo accostavano quelle immagini al ritorno in ufficio del sorridente Presidente Prodi dopo le vacanze.
Eppure il caso di Napoli e del suo hinterland è forse solo la punta di un iceberg, rappresenta una situazione estrema, resa insopportabile dalla presenza di interessi criminali e dalla correlata incapacità dei politici di trovare soluzioni decenti, oltre che dalla troppo alta densità di popolazione. Ma quel dramma, palese a Napoli, è latente altrove. Andrebbe però detto, per stroncare le tante e solite esternazioni razziste di questi giorni, che a Salerno la gestione amministrativa è ben diversa. Ed anche Salerno è in Campania. Ad essere precisi, la produzione di rifiuti pro-capite sembra essere in Campania addirittura inferiore sia alla media nazionale che a quella delle regioni meridionali sempre che tutto venga conteggiato esattamente. Ma questi son “dettagli”. Il problema è che si tratta in generale di valori medi comunque troppo alti, oscillanti da 1.3 a quasi 2 kg al giorno per abitante.
E’ evidente allora che la vera, radicale soluzione del problema, a Napoli o altrove, non può essere quella della “raccolta differenziata” in sé, né tantomeno quella dell’ “incenerimento”.
La prima è senz’altro una cosina che va fatta ed appartiene alla sfera della buona educazione ma non la enfatizzerei troppo perché poi comunque si rimane con materiali sì differenziati ma spesso difficili da gestire; inoltre può fornire un alibi al cittadino il quale, differenziando, crede di aver risolto il problema e si mette la coscienza a posto. La seconda soluzione, gentilmente detta “termovalorizzazione” (anche solo della parte non riciclabile) induce una strabiliante produzione di gas ad effetto serra. Peraltro l’Italia, dopo aver firmato il protocollo di Kyoto, non lo rispetta: mi sembra difficile che gli inceneritori possano aiutare a far quadrare i conti. E’ vero che bruciare i rifiuti in strada produce ancor più diossine degli inceneritori ma è anche vero che la gente di qualità tende “al meglio” e non “al meno peggio”, che poi diventa sempre peggiore. Semmai si ricorre ad alcuni inceneritori come “scelta residuale”, dopo aver fatto tutto il resto. Ma non sono essi l’ancora di salvezza come taluni, forse non privi di interessi, sostengono in questi giorni.
Dunque, la vera soluzione è il classico uovo di colombo: “la non produzione di rifiuti o perlomeno la loro drastica riduzione”. Raggiunto questo standard il problema rifiuti sarebbe praticamente inesistente ed un inceneritore per tutta la Penisola sarebbe più che sufficiente. Come ho detto in altre occasioni, c’è solo una strada per giungere a questo fine: far pagare salatamente i rifiuti per quantità e qualità al cittadino non dotato di senso della responsabilità individuale e dunque iper-produttore di rifiuti. Va quindi abbandonata la consuetudo imbecille della tassa basata sulla superficie dell’abitazione, incredibilmente ancora in voga in quasi tutta Italia. Anziché colpire il rifiuto colpisce la casa. Immagino che possa essere utile ai Comuni pigri continuare con questo andazzo (ed avere una voce d’entrata prontamente variabile a seconda dei bisogni finanziari) ma così si va di male in peggio sul fronte dei rifiuti. Soltanto imponendo la strada indicata, anche al prezzo della iniziale impopolarità, gli amministratori potranno innescare un meccanismo virtuoso ed etico. Chi non produce rifiuti non paga: è perfino un fatto di giustizia sociale.
Gli stessi cittadini impareranno a fare la spesa, miglioreranno la qualità della loro alimentazione e, non sprecando, aumenteranno anche la propria ricchezza individuale. A parità di stipendio, chi ha più cultura, riesce sempre ad avere un potere d’acquisto più elevato. Ed anche la dipendenza dal petrolio delle società umane verrebbe drasticamente ridotta. Lasciando disoccupati molti strilloni.
Friday, February 8, 2008
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