Thursday, October 22, 2009

Verso il Summit di Copenhagen

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Ci stiamo avvicinando al famoso summit delle Nazioni Unite che si terrà a Copenhagen tra un mese e mezzo. Vi parteciperanno circa 15.000 delegati in rappresentanza di 200 nazioni. Un grande circo di attori i quali dovrebbero trovare un qualche accordo e stendere un piano credibile per far fronte alla più grande calamità del nostro tempo, il cambiamento climatico. Almeno per quella parte di cui sono responsabili gli umani secondo i documentati quattro rapporti dell' Intergovernmental Panel on Climate Change. Gli incontri di Copenhagen dovrebbero continuare la strada apertasi con il Protocollo di Kyoto che è in via di scadenza e che ha dato finora pochissimi risultati. Anche perchè è nato male ed è basato su strategie, essenzialmente il commercio delle emissioni inquinanti, molto discutibili. Il fatto è che dal 1997 ad oggi le emissioni di gas serra sono comunque cresciute e solo la crisi economica ha prodotto nell'ultimo anno qualche tangibile beneficio, almeno da questo punto di vista.

A Copenhagen i politici dei Paesi che contano una qualche forma di compromesso dovranno trovarla per non perdere la faccia ma le posizioni di partenza sono molto distanti. Da una parte ci sono le grandi economie dei Paesi emergenti i quali non vogliono rinunciare a tassi di crescita del PIL del 6-8% che consentono di portare fasce crescenti di popolazione su standard di vita occidentali. Dall'altra parte ci sono i Paesi già ricchi i quali non vogliono rinunciare agli standard raggiunti e ai livelli di consumo abituali nonostante sia evidente che essi siano oramai insostenibili.

Molti dirigenti dei Paesi emergenti sanno bene che essi non potranno percorrere esattamente lo stesso cammino dei Paesi già emersi. Costoro argomentano però a ragione che le loro quote di emissioni pro-capite sono un decimo (o un ventesimo) di quelle dei Paesi occidentali (e dei membri dell'OECD) . Ad esempio, le emissioni annue di CO_2 indiane sono circa 1.3 miliardi di tonnellate (poco più di 1 ton a testa) mentre quelle britanniche sono circa 585 milioni di tonnellate (circa 10 ton a testa) e quelle australiane sono circa 417 milioni di tonnellate (oltre 20 ton a testa). Tornerò però sul caso australiano perchè la cruda cifra non racconta tutta la storia !

Comunque sia, la novità del summit di Copenhagen sta nel fatto che gli USA si presenteranno da protagonisti con il nuovo Presidente che non può permettersi di far passi falsi sulla "questione clima" dopo che il suo piano di Riforma Sanitaria sta trovando più di un ostacolo. Il fatto paradossale è che pur di trovare consensi tra i Repubblicani, il neo Premio Nobel sta dimostrando una crescente disponibilità in materia di energia nucleare. Le sue recentissime affermazioni in supporto alla tecnologia nucleare "che non produce emissioni di gas serra" sono chiarissime anche se probabilmente deluderanno parecchi sostenitori della Green Economy che in Italia e altrove si erano lanciati ad osannare il nuovo eroe dell'ambientalismo all'indomani della sua elezione. Senza capire bene cosa fosse e sia questa Economia Verde. E' possibile però che molti di questi ingenui fessacchiotti non seguano le vere strategie di politica energetica USA anche perchè non sanno leggere. Meglio allora non ricordare loro che già cinque mesi fa il neo-Presidente approvò un piano per la fornitura di tecnologia nucleare agli Emirati Arabi Uniti. Ed è meglio dunque non dir loro che il Presidente USA sta dimostrando anche una notevole apertura per nuove esplorazioni di giacimenti di gas e petrolio (negli USA) : forse ci rimarrebbero male.

E' un fatto che la nuova amministrazione USA ha dato impulso alle tecnologie rinnovabili ma il grosso della produzione energetica viene e continuerà a venire dai combustibili fossili ai quali gli USA non rinunciano di certo. Anzi. Insomma se è vero che la politica si fa con i compromessi, è altrettanto vero che la strada verso Copenhagen è tutta in salita. E a me sembra difficile che da quel summit possano uscire politiche ambientali rigorose ed efficaci. Se poi mi sbaglio è meglio.

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