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Il programma di Radio3 che tratta i temi della scienza sta dedicando questo mese di Febbraio alle questioni specifiche della ricerca in Italia. I ricercatori sono stati invitati a raccontare brevemente la loro esperienza. Ho trovato l'iniziativa interessante e frizzante, così ho partecipato. Ecco qui il mio intervento.
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Care e Cari di Radio3Scienza,
ascolto spesso i vostri interessanti programmi e così vi scrivo a proposito del tema inerente alla Ricerca e ai Ricercatori.
Sono da diversi anni ricercatore presso il Dipartimento di Fisica, ora School of Science and Technology, dell' Università di Camerino. Trovo che il mestiere di ricercatore sia straordinariamente bello e rifarei tutto ciò che ho fatto. Ho lavorato presso 5 Dipartimenti di Fisica (per rimanere in Italia) e posso dire che ovunque il livello della ricerca scientifica è di alto, spesso altissimo, valore internazionale. Riguardo ai meccanismi di assunzione dei ricercatori e, più in generale ai sistemi di promozione interna, non ho mai visto verificarsi particolari ingiustizie nè favoritismi di sorta. Nei Dipartimenti di Fisica il merito viene premiato anche se la procedura dei concorsi è di per sè ipocrita ed inutilmente energivora in quanto il vincitore è prestabilito.
Sono altresì consapevole che l'area Fisica costituisce (mediamente) un'eccezione nel panorama dell'Università italiana. Basterà dare un'occhiata comparativa: 1) Ai criteri di valutazione interna che vigono per le diverse Facoltà e aree di ricerca. 2) Ai curricula di un medio ricercatore/professore di Fisica e di un altro Dipartimento X.
Ho sempre lavorato in modo indipendente in quanto credo che la ricerca sia innanzitutto un'attività individuale. Ciò vale soprattutto per un teorico quale io sono. Le collaborazioni, nazionali e internazionali, sono senz'altro importantissime ma fondamentale è la capacità dell'individuo di far da sè, tanto nella ricerca quanto nella vita.
Non ho mai aspirato a "diventare professore" perchè son certo che ciò sarebbe un boomerang: peggiorerei il mio status. Non conosco infatti alcun professore che abbia una qualità della vita comparabile alla mia. Non ho mai lavorato per fare i soldi (anzi ne rifiutai) ma, evitando di perder tempo in chiacchiere e sfruttando appieno le potenzialità offerte da questo mestiere, ho raggiunto ben presto uno standard di vita quotidiana che non cambierei con quello di alcun altro. Vivo in una delle zone più belle al mondo e lavoro da casa sfruttando appieno le opportunità della grande rivoluzione tecnologica che abbiamo la fortuna di esperire. Credo deva essere tristissimo doversi infilare al mattino in una scatola metallica e bruciare carburante per andare a lavorare. Non ho mai fatto parte di gruppi e già da studente pubblicavo da solo. Sono in forma smagliante.
Credo che il ricercatore deva fare solo ricerca e non didattica. Ed infatti io non la faccio da molti anni...quindici anni fa l'insegnamento fu esperienza utile poi mi resi conto che non mi fruttava e smisi. Senza manifestare e senza salir sui tetti. Son salito invece sul tetto di casa mia per coibentarlo e rendermi indipendente dai combustibili fossili. Si vive meglio e i quattrini si fanno anche non sprecando.
So bene che in Italia la cultura non è un valore e che la ricerca è poco sostenuta. Ritengo altresì che i ricercatori italiani, anzichè aspirare a far carriera mettendosi al servizio del loro capetto, avrebbero dovuto e ancor dovrebbero cogliere le grandi opportunità insite nel loro mestiere e valorizzare una figura professionale forse unica nel panorama mondiale. Almeno fino all'avvento di quest'ultima pessima riforma.
Vi allego un paio di foto recenti e vi saluto
Continuate così
Marco Zoli
3 comments:
Caro Marco,
anche io sono convinto del fatto che tutti i ricercatori, nel più profondo della loro mente, siano soli e credo che i ricercatori debbano fare scelte coraggiose. Infatti, la ricerca non ha né nazionalità né padroni. La scienza ignora gli individui particolari e le sue idee viaggiano nel tempo. E così, è il ricercatore che deve seguire la scienza (o l’artista l’arte) e non viceversa. Per esempio, io non ho avuto energie per salire sui tetti e ho lasciato l’Italia perché avevo di fronte a me un muro che non potevo sfondare. Ma penso che avrei dovuto lasciarla comunque perché la scienza che posso fare dove sono ora è migliore di quella che potevo fare in Italia. Per lo stesso motivo, non potrò mai avere il tuo stile di vita: ho bisogno del lavoro sul campo, dei laboratori e dei colleghi, anche se per indole personale ho una tendenza simile alla tua, e cioè il bisogno di stare da solo a pensare sui “miei” dati (ma raramente sono solo miei) o sulle mie teorie (queste più spesso possono essere solo mie).
Io credo nel fatto che gli scienziati non debbano solamente fare scienza ma debbano anche distribuirla, soprattutto se sovvenzionati da soldi pubblici, ma anche a prescindere. Per distribuire la scienza in modo tale che essa si perpetui, gli scienziati devono insegnarla agli studenti. E da millenni, in tutte le culture del mondo, il rapporto fra maestro e discepolo ha senso quando il contatto, almeno nei momenti cruciali, è diretto e personale. Se il computer può assolvere a questa funzione bene così, ma ancora oggi per la maggior parte delle discipline questo non può avvenire. Il principio dell’universalità della cultura è dentro l’etimologia stessa della parola Università. In questo senso, a prescindere dalle fonti di finanziamento, l’Università è tale se mantiene la sua funzione pubblica e il ruolo degli scienziati è anche quello di difendere la diffusione del sapere, e non solo la sua produzione.
Alternativamente, non sarebbe Università ma sarebbe Circolo, Società o Fondazione, che non vuol dire che questo tipo di istituzioni così come una persona (e.g., Eistein o Darwin) non possano fare ottima scienza. Seguendo la logica di Kant, se tutti facessero come fai tu l’Università così come penso si debba intendere potrebbe anche morire. Questa rimane soprattutto una questione di valori morali. Come tutte le questioni morali, rimane aperta al dibattito e il dibattito ha senso se si tengono fissi gli assunti.
Secondo me i ricercatori precari hanno fatto bene a salire sui tetti. Molti di quelli che sono saliti sui tetti in realtà vorrebbero semplicemente godere dei privilegi di cui hanno goduto i loro più fortunati predecessori e forse e per questo che li citi con ironia. Penso che molti di loro, se veramente tenessero alla loro scienza, sarebbero già da tempo andati a fare una lunga e magari definitiva esperienza in altri paesi, semplicemente perché ogni paese ha punte di eccellenza in certi settori disciplinari (per esempio l’Italia in fisica o in romanistica) e non in altri. Nonostante questo, i precari e gli strutturati che li hanno sostenuti hanno fatto proprio bene a salire sui tetti perché quando chi ti governa fa un errore con evidenti cattive intenzioni, qualcuno che alza la testa ci deve essere. Oppure diamo ragione al governo che usa frasi come “se fossero bravi studenti sarebbero a casa a studiare”.
Se io fossi rimasto precario in Italia avrei certamente alzato la testa e lasciare l’Italia è stato, in parte, un modo di alzare la testa.
Nonostante alcune importanti divergenze fra i nostri punti di vista, il tuo intervento mi sembra molto stimolante perché è fuori dal coro ed enfatizza i limiti del sistema italiano e le sue potenzialità, e una seria discussione su una riforma del sistema è necessaria in quanto l’ università pubblica italiana e ormai al collasso.
Un caro saluto
Tancredi
Caro Tancredi, dici cose belle e son sicuro che sei contento dell'esperienza importante che stai facendo. Lasciami aggiungere solo un paio di precisazioni chè non su tutto siam d'accordo:
1) se gli scienziati devano o non devano insegnare nel senso di far didattica, beh questa è questione antica. La pose più autorevolmente di tutti l'Einstein che citi: egli, nel 1914 (quando aveva la tua età) decise di trasferirsi a Berlino (come hai fatto tu) e tra i motivi principali della sua decisione c'era proprio quello che, così facendo, sarebbe stato libero da incarichi didattici. Come membro dell'Accademia Prussiana delle Scienze poteva fare solo ricerca. Ciò nonostante, credo che nessuna persona di buon senso oserebbe dubitare del fatto che egli abbia "distribuito scienza". Naturalmente è bene che noi manteniamo il senso delle proporzioni e ci limitiamo al nostro piccolo.
Radio3Scienza chiedeva di raccontare esperienze personali ed io non volevo fungere da modello. So bene che "non sono tutti come me" e sarei il primo ad essere infastidito se ciò dovesse accadere. Le modalità in cui si "distribuisce la scienza" sono però molteplici e non si esauriscono nella didattica che peraltro è fondamentale. Intanto i risultati scientifici vengono pubblicati e le parole scritte rimangono per chi vuole andarsele a leggere.
2) Nella fattispecie poi la questione non è relativa alla didattica in sè ma alla funzione dei ricercatori: se cioè essi devano o no far didattica. A me sembra ovvio che non devano visto che non sono stati assunti per tali mansioni. Nell'Università pubblica possono convivere figure professionali con compiti didattici e di ricerca mentre altre possono dedicarsi esclusivamente alla seconda attività. Non vedo contraddizione. Semmai il gran problema è che c'è una gran zavorra che non produce un fico secco.
3) Bene o male salir sui tetti? Io non do giudizi morali poichè non sono cattolico. Se tale azione ha dato risultati allora è stata utile altrimenti è stata inutile con l'aggiunta che tali scalate possono risultar pericolose e provocare la rottura di alcune tegole. A volta ci si trova anche qualche politicante come compagno di cordata. Sii comunque certo che non verrano certo da me giudizi censori verso chi manifesta in difesa di valori fondamentali quali sono quelli della cultura e dell'istruzione pubblica. Permettimi solo di sfoderare un pò di ironia perchè proprio non vi so rinunciare. Caro saluto
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