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Alcune considerazioni a complemento del post del 6 Novembre. Gli USA hanno 1493 centrali a carbone in attività con una capacità di generazione di 336 GW (1GW = 1 miliardo di Watt). Questi impianti producono circa il 70% dell'elettricità generata da combustibili fossili e circa il 50% di tutta l'energia elettrica nazionale. E' evidente dunque che gli USA non rinunceranno allegramente all'uso del carbone per quanto vi sia stata negli ultimi anni una crescente opposizione dell'opinione pubblica alla costruzione di nuove centrali. Quelle esistenti bruciano circa un miliardo di tonnellate (ton) di carbone all'anno e producono circa 2 Gton di diossido di carbonio (CO_2). Ciò equivale a circa 1/3 di tutto il CO_2 prodotto dagli USA o, se si preferisce, a poco meno di 1/12 di tutto il CO_2 prodotto nel mondo.
Per inciso, la produzione mondiale di carbone è 1/3 della produzione mondiale di energia da fonti fossili e alla Cina spetta la parte del leone sia per la produzione che per il consumo. Dunque l'affare carbone non riguarda evidentemente solo gli USA.
Comunque, di fronte a queste cifre, l'atteggiamento dell'Amministrazione USA si riassume così: non possiamo fare a meno del carbone ma dobbiamo cercare di limitare i danni. Non so quanto questo concetto sia in sintonia con i proclami sul nuovo corso della Green Economy ma è un fatto che la strategia USA è chiara ed è stata, anche di recente, esplicitamente dichiarata dal Ministro per l'Energia, Dr. Steven Chu.
Limitare i danni, relativamente al carbone, significa essenzialmente due cose: 1) migliorare l'efficienza delle centrali, 2) catturare e sequestrare il diossido di carbonio emesso in combustione. Su questo secondo punto c'è molta enfasi a livello internazionale e diversi progetti sono in via di realizzazione uno dei quali appunto nello Utah. In molti di essi partecipano compagnie Statunitensi e non c'è dubbio che la ricerca nel settore continuerà e verrà finanziata.
Il punto chiave nei progetti di Carbon Capture and Storage (CSS) è che, per funzionare, essi richiedono un'alta quantità di energia di input. Limitiamoci ai progetti che prevedono il sequestro del CO_2 in fase di post-combustione (i più diffusi). Bene, esistono due strategie alternative per valutarne la convenienza energetica: 1) si fissa la produzione di energia di un dato impianto (output) e ci si chiede quanto carbone in più bisognerà bruciare per fare funzionare il sistema di CSS; 2) si fissa la quantità di carbone che si brucia (input) e ci si chiede quanta energia utile in meno si otterrà a causa del sistema di CSS. In entrambi i casi la penalizzazione energetica oscilla dall 11 al 40% con valori probabili attorno al 30%.
Insomma, a tutt'oggi, il gioco non vale la candela. Il fatto è che che quando un numero sufficientemente alto di persone e aziende comincia a lavorare in un settore, esso settore diventa in sè rilevante al fine di far girare l'economia anche se si tratta di un palese assurdo termodinamico. Considerazioni assolutamente analoghe valgono per i reattori nucleari per la produzione di energia elettrica. Chiunque non sia stupido capisce che si tratta di assurdi termodinamici ma alcuni progetti vengono realizzati in alcuni Paesi per soddisfare le esigenze di chi lavora e si è specializzato solo in quel settore. Quando taluni gruppi di pressione riescono ad avere governi amici ecco che scattano i finanziamenti, alcune centrali si progettano e qualcuna si farà. Queste assurdità contribuiscono pur sempre al PIL anche se cozzano contro i più elementari principi della razionalità energetica.
Se si volessero davvero trovare soluzioni sensate sia per la questione energetica che per la questione ambientale si dovrebbero imporre da subito drastiche politiche per la eliminazione di tutti gli sprechi. Ma queste presuppongono una radicale trasformazione degli stili di vita e una riduzione dei consumi dunque dubito che, negli USA e altrove, esse potranno diventare rapidamente una pratica diffusa.
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