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While the food crisis is getting heavy worldwide and contributes to unleash mass protests in Middle East, North Africa and India, it is worth reminding how many botanic species might be a good source of nutrients.
Very often humans (mainly those living in urban areas) have lost knowledge about the natural world and common diets are dictated by the food companies commercial interests. The beautiful book by Raj Patel should be a must in your library. As a consequence nutrients diversification shrinks and just a few main staple foods, markedly rice, maize and wheat, provide most of the energy intake. In USA and Europe, animal products are even ahead of cereals as for their energy contribution to the average diet hence causing further problems in terms of environment and health.
There is a need to increase and spread knowledge of the richness of edible plants which can be found throughout the world. In this regard I want to mention a great piece of work done by Prof. Dr. Eduardo Rapoport, Universidad Nacional del Camohue (Argentina), in order to identify invasive species in South America which turn out to be edible.
The following video reports on this programme...enjoy and eat well !
Avoid supermarkets, remember that processed food is often poisonous and prepare your own food starting from healthy ingredients...
Questo blog nasce con l'intento di dare un contributo alla diffusione di una cultura ambientalista sia teorico-scientifica che operativa. E libera da intrallazzi. Strada facendo qualche divagazione si fa necessaria. ******* Motivation which inspires this blog is helping to spread an environmental culture with both scientific and practical sound basis. Above all, a Frauds Free culture. Some contributions on other issues are published according to latest news and needs.
Sunday, February 27, 2011
Wednesday, February 23, 2011
Libia, Petrolio e Modelli di Sviluppo
*
In questi giorni mi è capitato di cogliere alcuni spezzoni di quelle tipiche conversazioni che rivelano gli umori del popolino: sembra che molti italiani siano preoccupati per la situazione in Libia poichè da essa potrebbero fuoriuscire ondate di disperati che cercherebbero rifugio in Italia. L'individuo-massa non è preoccupato per la tragedia libica in sé ma per le conseguenze che tali eventi potrebbero avere sulla sua vita quotidiana. Naturalmente questi strati di popolino sono composti da bravi cattolici, battezzati e coerenti, che amano il prossimo loro, dunque anche l'eventuale immigrato libico, come sé stessi. E' noto che quanto più l'individuo-massa sente il peso della crisi economica tanto più è portato a vedere nell'immigrato, nel diverso, un potenziale nemico. E' sempre stato così.
Nello specifico, gli umori viscerali del popolo sono ben interpretati dal Ministro degli Esteri che ora paventa un esodo di proporzioni bibliche dopo essere stato per giorni molto prudente nel prendere le distanze dal Colonnello Libico con cui Italia e Italiani hanno sempre fatto buoni affari. Non ci si può inimicare un dittatore perchè, se poi ristabilisce l'ordine in casa, è con lui che bisogna continuare a fare affari. Se però il dittatore è sull'orlo del baratro allora si può cominciare a criticarlo. L'ipocrisia dei politicanti è lo specchio dell'ipocrisia popolare.
Ho notato spesso come il popolino italiano sappia poco o nulla dei crimini compiuti qualche decennio fa da altri bravi italiani in Libia.
D'altro canto esistono politici di nobili ideali che invece sanno tutto di quei crimini e che, di conseguenza, hanno sempre considerato il Colonnello Libico un eroe popolare e antimperialista. Si veda a fianco l'insulsa intervista rilasciata da uno dei fondatori del Manifesto e che dimostra come l'infatuazione ideologica possa accecare. Fa una certa impressione leggere quelle frasi mentre in Libia è in corso una mattanza.
Tra le altre cose, ai fini dei temi trattati in questo blog, è interessante la proposta conclusiva dell'ottantenne rivoluzionario: "l'Italia dovrebbe costruire l'autostrada costiera tra Tunisia e Egitto" !
Naturalmente il Sig. Valentino propone un'autostrada che, se realizzata, verrà ancora per decenni percorsa da veicoli alimentati ad idrocarburi, e cioè grazie a quel petrolio su cui si fonda il perverso rapporto di amicizia italo-libico. Infatti, molti avranno imparato in questi giorni che l'Italia importa dalla Libia circa un quarto del petrolio che consuma (il 26% nel 2009) e che, nonostante la Libia non sia oggi tra i grandi produttori mondiali di greggio, essa ha le più grandi riserve accertate d'Africa.
Ora, è' chiaro che ENI continuerà ad estrarre petrolio in Libia e che i capi libici, vecchi e nuovi, continueranno a fondare il loro potere sui giacimenti di petrolio fino ad esaurirli.
Ma quello che preoccupa è come nemmeno i rivoluzionari o pseudo-tali riescano a vedere oltre la punta del loro naso e a pensare a modelli di sviluppo radicalmente diversi, alternativi a quelli ormai morenti fondati sui combustibili fossili. E' proprio una questione di cultura!
Peraltro l'autostrada è da sempre elemento funzionale al tandem industria petrolifera - industria automobilistica che forma il trave portante del sistema capitalistico mondiale. Non si capisce come un rivoluzionario, storico anticapitalista, possa essere poi paladino delle autostrade. Quand'anche si voglia assumere il punto di vista dell'anziano signore, la contraddizione è talmente evidente da farlo cadere nel ridicolo. Sono sempre stati simpatici questi loquaci intellettualini .
A me non verrebbe mai in mente di proporre un'autostrada lungo quella costa nord-africana peraltro già molto antropizzata e spesso violentata dal turismo di massa. Mi verrebbe spontaneo proporre alle (speriamo nuove) classi dirigenti arabe la costruzione di una pista ciclabile nel contesto di uno sviluppo turistico astuto che valorizzi le piccole economie locali della costa mediterranea, dal Marocco all'Egitto.
E' ovvio che nè io nè il Sig. Valentino avremo alcuna voce in capitolo. Scrivo queste cose solo per definire una concezione dello sviluppo (post era-petrolio) e degli stili di vita che, credo, prima o poi dovrà diffondersi anche in Africa così come già si è diffusa in parti d'Europa.
Tra i tanti che leggono questi posts molti sono già d'accordo con me, dunque vivono generalmente bene.
E magari anche quel pallido individuo-massa che ora, serrato in auto o in ufficio, esterna le proprie paure di fronte alle possibili ondate di immigrati un giorno capirà quant'è bello pedalare sia per andare al lavoro che in vacanza, deciderà di uscire dall'utero protettivo, rinuncerà per un pò agli spaghetti e cercherà di conoscere mondi diversi dal paesino in cui è nato. Così facendo smetterà di aver paura dell'immigrato, si abbronzerà un pochino e contribuirà a ridurre la dipendenza nazionale dal petrolio d'importazione.
In questi giorni mi è capitato di cogliere alcuni spezzoni di quelle tipiche conversazioni che rivelano gli umori del popolino: sembra che molti italiani siano preoccupati per la situazione in Libia poichè da essa potrebbero fuoriuscire ondate di disperati che cercherebbero rifugio in Italia. L'individuo-massa non è preoccupato per la tragedia libica in sé ma per le conseguenze che tali eventi potrebbero avere sulla sua vita quotidiana. Naturalmente questi strati di popolino sono composti da bravi cattolici, battezzati e coerenti, che amano il prossimo loro, dunque anche l'eventuale immigrato libico, come sé stessi. E' noto che quanto più l'individuo-massa sente il peso della crisi economica tanto più è portato a vedere nell'immigrato, nel diverso, un potenziale nemico. E' sempre stato così.
Nello specifico, gli umori viscerali del popolo sono ben interpretati dal Ministro degli Esteri che ora paventa un esodo di proporzioni bibliche dopo essere stato per giorni molto prudente nel prendere le distanze dal Colonnello Libico con cui Italia e Italiani hanno sempre fatto buoni affari. Non ci si può inimicare un dittatore perchè, se poi ristabilisce l'ordine in casa, è con lui che bisogna continuare a fare affari. Se però il dittatore è sull'orlo del baratro allora si può cominciare a criticarlo. L'ipocrisia dei politicanti è lo specchio dell'ipocrisia popolare.
Ho notato spesso come il popolino italiano sappia poco o nulla dei crimini compiuti qualche decennio fa da altri bravi italiani in Libia.
D'altro canto esistono politici di nobili ideali che invece sanno tutto di quei crimini e che, di conseguenza, hanno sempre considerato il Colonnello Libico un eroe popolare e antimperialista. Si veda a fianco l'insulsa intervista rilasciata da uno dei fondatori del Manifesto e che dimostra come l'infatuazione ideologica possa accecare. Fa una certa impressione leggere quelle frasi mentre in Libia è in corso una mattanza.
Tra le altre cose, ai fini dei temi trattati in questo blog, è interessante la proposta conclusiva dell'ottantenne rivoluzionario: "l'Italia dovrebbe costruire l'autostrada costiera tra Tunisia e Egitto" !
Il Sole24Ore, Venerdì 18 Febbraio 2011 |
Naturalmente il Sig. Valentino propone un'autostrada che, se realizzata, verrà ancora per decenni percorsa da veicoli alimentati ad idrocarburi, e cioè grazie a quel petrolio su cui si fonda il perverso rapporto di amicizia italo-libico. Infatti, molti avranno imparato in questi giorni che l'Italia importa dalla Libia circa un quarto del petrolio che consuma (il 26% nel 2009) e che, nonostante la Libia non sia oggi tra i grandi produttori mondiali di greggio, essa ha le più grandi riserve accertate d'Africa.
Ora, è' chiaro che ENI continuerà ad estrarre petrolio in Libia e che i capi libici, vecchi e nuovi, continueranno a fondare il loro potere sui giacimenti di petrolio fino ad esaurirli.
Ma quello che preoccupa è come nemmeno i rivoluzionari o pseudo-tali riescano a vedere oltre la punta del loro naso e a pensare a modelli di sviluppo radicalmente diversi, alternativi a quelli ormai morenti fondati sui combustibili fossili. E' proprio una questione di cultura!
Peraltro l'autostrada è da sempre elemento funzionale al tandem industria petrolifera - industria automobilistica che forma il trave portante del sistema capitalistico mondiale. Non si capisce come un rivoluzionario, storico anticapitalista, possa essere poi paladino delle autostrade. Quand'anche si voglia assumere il punto di vista dell'anziano signore, la contraddizione è talmente evidente da farlo cadere nel ridicolo. Sono sempre stati simpatici questi loquaci intellettualini .
A me non verrebbe mai in mente di proporre un'autostrada lungo quella costa nord-africana peraltro già molto antropizzata e spesso violentata dal turismo di massa. Mi verrebbe spontaneo proporre alle (speriamo nuove) classi dirigenti arabe la costruzione di una pista ciclabile nel contesto di uno sviluppo turistico astuto che valorizzi le piccole economie locali della costa mediterranea, dal Marocco all'Egitto.
E' ovvio che nè io nè il Sig. Valentino avremo alcuna voce in capitolo. Scrivo queste cose solo per definire una concezione dello sviluppo (post era-petrolio) e degli stili di vita che, credo, prima o poi dovrà diffondersi anche in Africa così come già si è diffusa in parti d'Europa.
Tra i tanti che leggono questi posts molti sono già d'accordo con me, dunque vivono generalmente bene.
E magari anche quel pallido individuo-massa che ora, serrato in auto o in ufficio, esterna le proprie paure di fronte alle possibili ondate di immigrati un giorno capirà quant'è bello pedalare sia per andare al lavoro che in vacanza, deciderà di uscire dall'utero protettivo, rinuncerà per un pò agli spaghetti e cercherà di conoscere mondi diversi dal paesino in cui è nato. Così facendo smetterà di aver paura dell'immigrato, si abbronzerà un pochino e contribuirà a ridurre la dipendenza nazionale dal petrolio d'importazione.
Friday, February 18, 2011
Foreste Igapó e Várzea.... colore delle acque e uccelli endemici
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Gentile Prof. Vittorio Amadio,
Con riferimento al suo articolo apparso su La Nuova Ecologia di Febbraio 2011 (pg.35), noto che la distinzione da lei fatta tra foresta Igapó e foresta Várzea è un pò confusa. Vorrei precisare che:
a) la foresta Igapó è allagata regolarmente da fiumi con acque scure che provengono da territori geologicamente più antichi (vd. Rio Negro nel bacino Amazonico)
b) la foresta Várzea è allagata stagionalmente da fiumi con acque bianche (in realtà color beige) provenienti da territori, come quelli Andini, più giovani geologicamente (vd. Rio Solimões).
La distinzione di colore delle acque è fondamentale in quanto le seconde, proprio in virtù del territorio da cui originano, sono quelle più ricche di sedimenti erosi. Di conseguenza la foresta Várzea ha un suolo relativamente più ricco di nutrienti ed è più favorevole all'agricoltura. Dunque è la più minacciata dalle pratiche di disboscamento.
Di converso le foreste Igapò hanno generalmente poche zanzare in quanto le larve non sopportano gli acidi organici che rendono appunto scura l'acqua.
La stessa differenza di colore delle acque che si nota nel bacino Amazonico si ritrova nel bacino del Rio Orinoco in Venezuela: nei pressi di Puerto Ordaz il Rio Caroni, che origina nella Gran Sabana ed è portatore di acque scure, confluisce appunto nell'Orinoco ma le acque, di diversa densità e temperatura, non si mescolano per un lungo tratto...proprio come a Manaus.
A prima vista noto inoltre un errore: l'hoatzin non è un endemismo Amazonico. Se fosse un endemismo vorrebbe dire che si trova solo lì. Io però ho visto questo interessante uccello anche sul delta dell'Orinoco dunque fuori dalla regione Amazonica. Lo si può invece definire endemico del Sud America.
Complessivamente l'articolo mi sembra senza infamia e senza lode, non è male ma non dice alcunchè di rilevante e originale sull'Amazonia. La Nuova Ecologia le avrà chiesto di riempire una pagina della rivista e lei lo ha fatto diligentemente raccogliendo online un pò di dati. Le darei un bel 22/30. Temo però che le manchi l'esperienza diretta con quella parte di mondo, chissà se c'è mai andato nella foresta vera magari non in gruppo.
Le allego un paio di foto sul fenomeno delle acque che "non si mescolano".
Cari saluti
Marco Zoli
p.s. Non si preoccupi. Il suo non è un caso isolato: sa quante volte mi è capitato di prendere in mano La Nuova Ecologia e di trovarvi errori di vario tipo! E' una vecchia storia...e il Direttore è un vecchio amico! Molto onesto peraltro: non ha mai organizzato una truffa in vita sua.
Gentile Prof. Vittorio Amadio,
Con riferimento al suo articolo apparso su La Nuova Ecologia di Febbraio 2011 (pg.35), noto che la distinzione da lei fatta tra foresta Igapó e foresta Várzea è un pò confusa. Vorrei precisare che:
a) la foresta Igapó è allagata regolarmente da fiumi con acque scure che provengono da territori geologicamente più antichi (vd. Rio Negro nel bacino Amazonico)
b) la foresta Várzea è allagata stagionalmente da fiumi con acque bianche (in realtà color beige) provenienti da territori, come quelli Andini, più giovani geologicamente (vd. Rio Solimões).
La distinzione di colore delle acque è fondamentale in quanto le seconde, proprio in virtù del territorio da cui originano, sono quelle più ricche di sedimenti erosi. Di conseguenza la foresta Várzea ha un suolo relativamente più ricco di nutrienti ed è più favorevole all'agricoltura. Dunque è la più minacciata dalle pratiche di disboscamento.
Di converso le foreste Igapò hanno generalmente poche zanzare in quanto le larve non sopportano gli acidi organici che rendono appunto scura l'acqua.
La stessa differenza di colore delle acque che si nota nel bacino Amazonico si ritrova nel bacino del Rio Orinoco in Venezuela: nei pressi di Puerto Ordaz il Rio Caroni, che origina nella Gran Sabana ed è portatore di acque scure, confluisce appunto nell'Orinoco ma le acque, di diversa densità e temperatura, non si mescolano per un lungo tratto...proprio come a Manaus.
A prima vista noto inoltre un errore: l'hoatzin non è un endemismo Amazonico. Se fosse un endemismo vorrebbe dire che si trova solo lì. Io però ho visto questo interessante uccello anche sul delta dell'Orinoco dunque fuori dalla regione Amazonica. Lo si può invece definire endemico del Sud America.
Complessivamente l'articolo mi sembra senza infamia e senza lode, non è male ma non dice alcunchè di rilevante e originale sull'Amazonia. La Nuova Ecologia le avrà chiesto di riempire una pagina della rivista e lei lo ha fatto diligentemente raccogliendo online un pò di dati. Le darei un bel 22/30. Temo però che le manchi l'esperienza diretta con quella parte di mondo, chissà se c'è mai andato nella foresta vera magari non in gruppo.
Le allego un paio di foto sul fenomeno delle acque che "non si mescolano".
Cari saluti
Marco Zoli
p.s. Non si preoccupi. Il suo non è un caso isolato: sa quante volte mi è capitato di prendere in mano La Nuova Ecologia e di trovarvi errori di vario tipo! E' una vecchia storia...e il Direttore è un vecchio amico! Molto onesto peraltro: non ha mai organizzato una truffa in vita sua.
Wednesday, February 16, 2011
Nord Africa e Paesi Islamici, Rivolte Popolari e Prezzi degli Alimenti
*
Un mese fa ero di passaggio al Cairo quando un uomo si era appena dato fuoco davanti al Parlamento Egiziano. L'uomo non aveva più diritto ai coupons che gli avevano permesso di comprare pane a prezzo sussidiato per il suo piccolo ristorante. Questa era la notizia con cui apriva il Daily News del 18 Gennaio, il quale riferiva anche che il Ministro degli Esteri aveva escluso per l'Egitto la possibilità di rivolte in stile tunisino. Da lì a un paio di giorni la protesta popolare contro la dittatura di Mubarak è divampata smentendo il lungimirante Ministro.
Non era peraltro difficile coglierne i segnali e mi chiedevo tempo quanto ancora le popolazioni dei Paesi Arabi e dell'Iran avrebbero potuto sopportare di rimanere soggiogate. Avevo appena spiegato a Federico che gli Arabi d'Israele avevano, nonostante tutto, condizioni di vita ben migliori dei loro pari viventi nei Paesi Arabi vicini.
Dalla Tunisia all'Egitto e di nuovo all'Iran le fasce sociali più istruite e dinamiche chiedono la fine delle corrotte dittature familistiche ma non c'è dubbio che il malcontento delle grandi masse che vediamo in queste settimane deriva dall'ulteriore peggioramento delle condizioni economiche. La massa protesta perchè vive male e spesso ha fame.
Eppure l' osservatorio della FAO che monitora gli indici dei prezzi delle derrate alimentari aveva rivelato da sei mesi aumenti record soprattutto per zucchero, olii e cereali.
In realtà la produzione mondiale di cereali nel 2010 non è andata male ed è calata globalmente solo dell' 1.4% rispetto all'anno precedente. I Paesi in via di sviluppo hanno avuto aumenti produttivi che hanno quasi compensato i decrementi dei Paesi sviluppati. Il problema è che la domanda globale continua a crescere generando aspettative di riduzione degli stocks, dunque forti aumenti dei prezzi. Le alluvioni in Australia e la siccità in Argentina creano ulteriori instabilità sui mercati tant'è che a Dicembre 2010 il prezzo del grano USA da export ha raggiunto i 324 US$ per tonnellata, il 70% in più che a Luglio.
Sono 77 i Paesi del mondo classificati a basso reddito e con deficit alimentare (Low Income Food Deficit Countries, LIFDC). Complessivamente, nel 2010, questi 77 hanno aumentato del 2.5% la produzione di cereali rispetto al 2009. Se si scorporano i dati si vede però che nel Nord-Africa la produzione è crollata del 10%, un dato importante. Inoltre l'incremento di capacità produttiva non affranca i Paesi LIFDC dal bisogno di continuare ad importare e, poichè i prezzi aumentano, la loro bilancia commerciale peggiora.
Continuando a leggere il rapporto FAO si nota come in Tunisia la produzione di grano è calata del 46% rispetto al 2009 e del 35% rispetto alla media dei 5 anni precedenti. L' Egitto è il più grosso produttore regionale ma è anche il primo importatore di grano al mondo (oltre 10 milioni tons) e due terzi dell'import venivano dalla Russia che però, a causa di una paurosa siccità, ha prima vietato e poi ridotto l'export. L'aumento del prezzo della farina di grano (solo una parte è sussidiata dal governo) si è ripercossa sui prezzi dei prodotti di base e si è aggiunto all'aumento dei prezzi di carne, riso e verdure. La situazione è esplosa anche per questo. Insomma la coperta è corta ed in questo mondo le fluttuazioni (cambiamenti) del clima in Russia o Argentina hanno effetti globali.
Persino nel tranquillo e generalmente benestante Oman c'è stata qualche protesta ma bisogna davvero andare a trovarne traccia nella stampa internazionale. In questo interessante Paese, con una bassissima densità di popolazione e una storica attenzione del Sultanato ai temi ambientali, non vediamo i conflitti che sconvolgono gli Stati Arabi vicini. Forse qualcosa ciò significa...magari poi vengo smentito domani mattina.
Un mese fa ero di passaggio al Cairo quando un uomo si era appena dato fuoco davanti al Parlamento Egiziano. L'uomo non aveva più diritto ai coupons che gli avevano permesso di comprare pane a prezzo sussidiato per il suo piccolo ristorante. Questa era la notizia con cui apriva il Daily News del 18 Gennaio, il quale riferiva anche che il Ministro degli Esteri aveva escluso per l'Egitto la possibilità di rivolte in stile tunisino. Da lì a un paio di giorni la protesta popolare contro la dittatura di Mubarak è divampata smentendo il lungimirante Ministro.
Non era peraltro difficile coglierne i segnali e mi chiedevo tempo quanto ancora le popolazioni dei Paesi Arabi e dell'Iran avrebbero potuto sopportare di rimanere soggiogate. Avevo appena spiegato a Federico che gli Arabi d'Israele avevano, nonostante tutto, condizioni di vita ben migliori dei loro pari viventi nei Paesi Arabi vicini.
Dalla Tunisia all'Egitto e di nuovo all'Iran le fasce sociali più istruite e dinamiche chiedono la fine delle corrotte dittature familistiche ma non c'è dubbio che il malcontento delle grandi masse che vediamo in queste settimane deriva dall'ulteriore peggioramento delle condizioni economiche. La massa protesta perchè vive male e spesso ha fame.
Eppure l' osservatorio della FAO che monitora gli indici dei prezzi delle derrate alimentari aveva rivelato da sei mesi aumenti record soprattutto per zucchero, olii e cereali.
In realtà la produzione mondiale di cereali nel 2010 non è andata male ed è calata globalmente solo dell' 1.4% rispetto all'anno precedente. I Paesi in via di sviluppo hanno avuto aumenti produttivi che hanno quasi compensato i decrementi dei Paesi sviluppati. Il problema è che la domanda globale continua a crescere generando aspettative di riduzione degli stocks, dunque forti aumenti dei prezzi. Le alluvioni in Australia e la siccità in Argentina creano ulteriori instabilità sui mercati tant'è che a Dicembre 2010 il prezzo del grano USA da export ha raggiunto i 324 US$ per tonnellata, il 70% in più che a Luglio.
Sono 77 i Paesi del mondo classificati a basso reddito e con deficit alimentare (Low Income Food Deficit Countries, LIFDC). Complessivamente, nel 2010, questi 77 hanno aumentato del 2.5% la produzione di cereali rispetto al 2009. Se si scorporano i dati si vede però che nel Nord-Africa la produzione è crollata del 10%, un dato importante. Inoltre l'incremento di capacità produttiva non affranca i Paesi LIFDC dal bisogno di continuare ad importare e, poichè i prezzi aumentano, la loro bilancia commerciale peggiora.
Continuando a leggere il rapporto FAO si nota come in Tunisia la produzione di grano è calata del 46% rispetto al 2009 e del 35% rispetto alla media dei 5 anni precedenti. L' Egitto è il più grosso produttore regionale ma è anche il primo importatore di grano al mondo (oltre 10 milioni tons) e due terzi dell'import venivano dalla Russia che però, a causa di una paurosa siccità, ha prima vietato e poi ridotto l'export. L'aumento del prezzo della farina di grano (solo una parte è sussidiata dal governo) si è ripercossa sui prezzi dei prodotti di base e si è aggiunto all'aumento dei prezzi di carne, riso e verdure. La situazione è esplosa anche per questo. Insomma la coperta è corta ed in questo mondo le fluttuazioni (cambiamenti) del clima in Russia o Argentina hanno effetti globali.
Persino nel tranquillo e generalmente benestante Oman c'è stata qualche protesta ma bisogna davvero andare a trovarne traccia nella stampa internazionale. In questo interessante Paese, con una bassissima densità di popolazione e una storica attenzione del Sultanato ai temi ambientali, non vediamo i conflitti che sconvolgono gli Stati Arabi vicini. Forse qualcosa ciò significa...magari poi vengo smentito domani mattina.
Thursday, February 10, 2011
Ricercatori e Ricerca a Radio3Scienza
*
Il programma di Radio3 che tratta i temi della scienza sta dedicando questo mese di Febbraio alle questioni specifiche della ricerca in Italia. I ricercatori sono stati invitati a raccontare brevemente la loro esperienza. Ho trovato l'iniziativa interessante e frizzante, così ho partecipato. Ecco qui il mio intervento.
********************************************************************************
Care e Cari di Radio3Scienza,
ascolto spesso i vostri interessanti programmi e così vi scrivo a proposito del tema inerente alla Ricerca e ai Ricercatori.
Sono da diversi anni ricercatore presso il Dipartimento di Fisica, ora School of Science and Technology, dell' Università di Camerino. Trovo che il mestiere di ricercatore sia straordinariamente bello e rifarei tutto ciò che ho fatto. Ho lavorato presso 5 Dipartimenti di Fisica (per rimanere in Italia) e posso dire che ovunque il livello della ricerca scientifica è di alto, spesso altissimo, valore internazionale. Riguardo ai meccanismi di assunzione dei ricercatori e, più in generale ai sistemi di promozione interna, non ho mai visto verificarsi particolari ingiustizie nè favoritismi di sorta. Nei Dipartimenti di Fisica il merito viene premiato anche se la procedura dei concorsi è di per sè ipocrita ed inutilmente energivora in quanto il vincitore è prestabilito.
Sono altresì consapevole che l'area Fisica costituisce (mediamente) un'eccezione nel panorama dell'Università italiana. Basterà dare un'occhiata comparativa: 1) Ai criteri di valutazione interna che vigono per le diverse Facoltà e aree di ricerca. 2) Ai curricula di un medio ricercatore/professore di Fisica e di un altro Dipartimento X.
Ho sempre lavorato in modo indipendente in quanto credo che la ricerca sia innanzitutto un'attività individuale. Ciò vale soprattutto per un teorico quale io sono. Le collaborazioni, nazionali e internazionali, sono senz'altro importantissime ma fondamentale è la capacità dell'individuo di far da sè, tanto nella ricerca quanto nella vita.
Non ho mai aspirato a "diventare professore" perchè son certo che ciò sarebbe un boomerang: peggiorerei il mio status. Non conosco infatti alcun professore che abbia una qualità della vita comparabile alla mia. Non ho mai lavorato per fare i soldi (anzi ne rifiutai) ma, evitando di perder tempo in chiacchiere e sfruttando appieno le potenzialità offerte da questo mestiere, ho raggiunto ben presto uno standard di vita quotidiana che non cambierei con quello di alcun altro. Vivo in una delle zone più belle al mondo e lavoro da casa sfruttando appieno le opportunità della grande rivoluzione tecnologica che abbiamo la fortuna di esperire. Credo deva essere tristissimo doversi infilare al mattino in una scatola metallica e bruciare carburante per andare a lavorare. Non ho mai fatto parte di gruppi e già da studente pubblicavo da solo. Sono in forma smagliante.
Credo che il ricercatore deva fare solo ricerca e non didattica. Ed infatti io non la faccio da molti anni...quindici anni fa l'insegnamento fu esperienza utile poi mi resi conto che non mi fruttava e smisi. Senza manifestare e senza salir sui tetti. Son salito invece sul tetto di casa mia per coibentarlo e rendermi indipendente dai combustibili fossili. Si vive meglio e i quattrini si fanno anche non sprecando.
So bene che in Italia la cultura non è un valore e che la ricerca è poco sostenuta. Ritengo altresì che i ricercatori italiani, anzichè aspirare a far carriera mettendosi al servizio del loro capetto, avrebbero dovuto e ancor dovrebbero cogliere le grandi opportunità insite nel loro mestiere e valorizzare una figura professionale forse unica nel panorama mondiale. Almeno fino all'avvento di quest'ultima pessima riforma.
Vi allego un paio di foto recenti e vi saluto
Continuate così
Marco Zoli
Il programma di Radio3 che tratta i temi della scienza sta dedicando questo mese di Febbraio alle questioni specifiche della ricerca in Italia. I ricercatori sono stati invitati a raccontare brevemente la loro esperienza. Ho trovato l'iniziativa interessante e frizzante, così ho partecipato. Ecco qui il mio intervento.
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Care e Cari di Radio3Scienza,
ascolto spesso i vostri interessanti programmi e così vi scrivo a proposito del tema inerente alla Ricerca e ai Ricercatori.
Sono da diversi anni ricercatore presso il Dipartimento di Fisica, ora School of Science and Technology, dell' Università di Camerino. Trovo che il mestiere di ricercatore sia straordinariamente bello e rifarei tutto ciò che ho fatto. Ho lavorato presso 5 Dipartimenti di Fisica (per rimanere in Italia) e posso dire che ovunque il livello della ricerca scientifica è di alto, spesso altissimo, valore internazionale. Riguardo ai meccanismi di assunzione dei ricercatori e, più in generale ai sistemi di promozione interna, non ho mai visto verificarsi particolari ingiustizie nè favoritismi di sorta. Nei Dipartimenti di Fisica il merito viene premiato anche se la procedura dei concorsi è di per sè ipocrita ed inutilmente energivora in quanto il vincitore è prestabilito.
Sono altresì consapevole che l'area Fisica costituisce (mediamente) un'eccezione nel panorama dell'Università italiana. Basterà dare un'occhiata comparativa: 1) Ai criteri di valutazione interna che vigono per le diverse Facoltà e aree di ricerca. 2) Ai curricula di un medio ricercatore/professore di Fisica e di un altro Dipartimento X.
Ho sempre lavorato in modo indipendente in quanto credo che la ricerca sia innanzitutto un'attività individuale. Ciò vale soprattutto per un teorico quale io sono. Le collaborazioni, nazionali e internazionali, sono senz'altro importantissime ma fondamentale è la capacità dell'individuo di far da sè, tanto nella ricerca quanto nella vita.
Non ho mai aspirato a "diventare professore" perchè son certo che ciò sarebbe un boomerang: peggiorerei il mio status. Non conosco infatti alcun professore che abbia una qualità della vita comparabile alla mia. Non ho mai lavorato per fare i soldi (anzi ne rifiutai) ma, evitando di perder tempo in chiacchiere e sfruttando appieno le potenzialità offerte da questo mestiere, ho raggiunto ben presto uno standard di vita quotidiana che non cambierei con quello di alcun altro. Vivo in una delle zone più belle al mondo e lavoro da casa sfruttando appieno le opportunità della grande rivoluzione tecnologica che abbiamo la fortuna di esperire. Credo deva essere tristissimo doversi infilare al mattino in una scatola metallica e bruciare carburante per andare a lavorare. Non ho mai fatto parte di gruppi e già da studente pubblicavo da solo. Sono in forma smagliante.
Credo che il ricercatore deva fare solo ricerca e non didattica. Ed infatti io non la faccio da molti anni...quindici anni fa l'insegnamento fu esperienza utile poi mi resi conto che non mi fruttava e smisi. Senza manifestare e senza salir sui tetti. Son salito invece sul tetto di casa mia per coibentarlo e rendermi indipendente dai combustibili fossili. Si vive meglio e i quattrini si fanno anche non sprecando.
So bene che in Italia la cultura non è un valore e che la ricerca è poco sostenuta. Ritengo altresì che i ricercatori italiani, anzichè aspirare a far carriera mettendosi al servizio del loro capetto, avrebbero dovuto e ancor dovrebbero cogliere le grandi opportunità insite nel loro mestiere e valorizzare una figura professionale forse unica nel panorama mondiale. Almeno fino all'avvento di quest'ultima pessima riforma.
Vi allego un paio di foto recenti e vi saluto
Continuate così
Marco Zoli
Saturday, February 5, 2011
Good, Funny News from Malawi
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It is well known that bovine and sheep methane emissions do contribute to global warming. This effect is very much relevant also in view of the fact that the methane warming power is about twenty times as much as carbon dioxide (per unit of weight).
In this regard also human flatulence should be considered although the methane content in the latter may be less than that due to cattle.
A few weeks ago I met in Zanzibar a former militant of an Italian extreme left-wing group active in the seventies of the last century. As we had an interesting talk I felt bound to dedicate him a post. Federico had settled in Dar es Salaam since a couple of months following his wife employed at a Dar based UN agency. Federico had previously found himself close to the Malawi border and the same had just happened to me (Tanzania and Malawi share a border amid the beautiful Lake Nyasa). In fact the coherent guy did not cross the border as he was frightened by the idea of being in Malawi. On the spur I did not grasp why although, later on, talking about food I got that beans were main staple in his diet.
I am also fond of legumes but, upon cooking them, I try to remember to add some crumbs of Asafoetida, a marvelous gum which I got in plenty years ago at a remote farmer market in Northern India. Still I have it in stock also because, to Graci's dismay, I sometimes forget to add it. Even in this cases however I remain far away from the steady and powerful Federico's performances.
The latest news from Malawi explains and justifies Federico's fear. The country is about to reintroduce a law which bans public farting. A hazard to Federico. "Any person who vitiates the atmosphere...shall be guilty of a misdemeanour."
I wonder whether the Malawian Justice Minister is motivated by environmental awareness but certainly he is setting a good example. And he knows how to hit the headlines.
It is well known that bovine and sheep methane emissions do contribute to global warming. This effect is very much relevant also in view of the fact that the methane warming power is about twenty times as much as carbon dioxide (per unit of weight).
In this regard also human flatulence should be considered although the methane content in the latter may be less than that due to cattle.
A few weeks ago I met in Zanzibar a former militant of an Italian extreme left-wing group active in the seventies of the last century. As we had an interesting talk I felt bound to dedicate him a post. Federico had settled in Dar es Salaam since a couple of months following his wife employed at a Dar based UN agency. Federico had previously found himself close to the Malawi border and the same had just happened to me (Tanzania and Malawi share a border amid the beautiful Lake Nyasa). In fact the coherent guy did not cross the border as he was frightened by the idea of being in Malawi. On the spur I did not grasp why although, later on, talking about food I got that beans were main staple in his diet.
I am also fond of legumes but, upon cooking them, I try to remember to add some crumbs of Asafoetida, a marvelous gum which I got in plenty years ago at a remote farmer market in Northern India. Still I have it in stock also because, to Graci's dismay, I sometimes forget to add it. Even in this cases however I remain far away from the steady and powerful Federico's performances.
The latest news from Malawi explains and justifies Federico's fear. The country is about to reintroduce a law which bans public farting. A hazard to Federico. "Any person who vitiates the atmosphere...shall be guilty of a misdemeanour."
I wonder whether the Malawian Justice Minister is motivated by environmental awareness but certainly he is setting a good example. And he knows how to hit the headlines.
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